Prima di sapere se il licenziamento per giusta causa può dar o meno diritto alla disoccupazione è opportuno chiarire di cosa si tratta nello specifico e in misura generale in cosa consiste quella che comunemente chiamiamo disoccupazione, ma il cui termine tecnico è NASpI. Procediamo, però, con ordine e cerchiamo di fare chiarezza con alcuni consigli degli esperti.
La giusta causa
La giusta causa si configura ogni qualvolta si pongono in essere atti o fatti tali da rendere una data situazione lavorativa insostenibile che non permette di proseguire il rapporto di lavoro, neanche provvisoriamente e tale da giustificare il licenziamento.
Quando si parla di licenziamento per giusta causa, si fa spesso riferimento quasi esclusivamente a quello attuato dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore. In questo caso le cause che possono configurare la fattispecie sono:
Affinché si possa parlare di dimissioni per giusta causa e non di un licenziamento volontario da parte del dipendente, devono sussistere dei motivi che impediscono la prosecuzione del rapporto anche temporaneamente.
Il dipendente che ravvisa uno dei comportamenti sopra elencati e che decide di dare le dimissioni per giusta causa non deve aspettare troppo: la sua reazione deve essere immediata, per non dare adito al datore di pensare che il proprio comportamento venga accettato anche per un breve periodo dal dipendente.
Secondo tali disposizioni, in presenza delle condizioni che integrano la giusta causa, è riconosciuto tanto al datore di lavoro quanto al lavoratore il diritto di recedere prematuramente dal rapporto di lavoro, con effetto immediato e senza dover comunicare il preavviso.
Lo stesso può dirsi quando la giusta causa consiste in un comportamento illecito del datore di lavoro, come il mobbing: anche qui, secondo la Suprema Corte, la prova dei comportamenti integranti il mobbing e del conseguente danno spetta al lavoratore:
In ipotesi simili, quindi, il lavoratore sarà tenuto a dimostrare le circostanze che lo hanno costretto a dimettersi per giusta causa (e a richiedere il risarcimento del danno) ricorrendo ai mezzi di prova già visti.
Il dipendente deve rispettare il preavviso (le cosiddette mensilità) solo nel caso di dimissioni ordinarie da un rapporto a tempo indeterminato. Viceversa, in tutte le ipotesi in cui il lavoratore si dimette per giusta causa, le dimissioni hanno un effetto immediato.
In caso di dimissioni prima del termine senza giusta causa non è previsto esplicitamente il risarcimento del danno, tuttavia la giurisprudenza, in alcuni casi ha ravvisato un palese inadempimento contrattuale e ha previsto un risarcimento integrale del danno provocato al datore di lavoro (sentenza Cass. civ. n. 13597 del 23 dicembre 1992).
Il lavoratore deve consegnare o inviare una lettera con cui comunica la sua volontà di dimettersi per giusta causa, subito dopo il verificarsi della causa che ha reso impossibile la prosecuzione del rapporto.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7567 del 27 marzo 2020, haosservato che in tema di giusta causa il giudice è tenuto a verificare lacondotta addebitata al lavoratore, in tutti gli aspetti oggettivi e soggettiviche la compongono, al d là della tipizzazione contenuta nel contrattocollettivo.
Definizione di Licenziamento per giusta causa: Il datore di lavoro può recedere dal rapporto di lavoro a tempo determinato o da quello a tempo indeterminato, senza rispettare nel secondo caso il termine di preavviso, quando ricorra una giusta causa così grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro. Il licenziamento, in queste ipotesi, può essere intimato senza preavviso. (art.2119 Codice Civile).
Un dipendente può legittimamente essere licenziato per giusta causa o giustificato motivo e senza preavviso se si verifica una situazione che compromette in modo molto grave il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente.
L'accertamento del licenziamento per Giusta Causa consiste nella valutazione relativa alla sussistenza dell'impedimento alla prosecuzione del rapporto di lavoro. Si tratta quindi di una valutazione approfondita, volta all'analisi di tutti gli aspetti inerenti la natura e la qualità del rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, la posizione delle parti in causa, le mansioni svolte dal dipendente, il suo grado di responsabilità. Vengono anche presi in considerazione le circostanze e i motivi che hanno determinato il fatto e la sua intenzionalità.
Dogma è specializzata nella corretta acquisizione dei riscontri idonei a documentare il licenziamento per giusta causa, reperendo prove certe di tipo testimoniale e/o documentale, da utilizzare in sede giudiziaria. Nei casi consentiti dalle normative vigenti, le prove testimoniali e documentali sono corredate anche da filmati e fotografie, che certificano gli illeciti subiti.
Il concetto di giusta causa è tradizionalmente interpretato dalla giurisprudenza in senso estremamente restrittivo: fin dalla sua prima pronuncia sul tema, la Cassazione ha stabilito che la giusta causa ricorre quando il comportamento del socio recedente costituisce una legittima reazione a un contegno degli altri soci tale da fare venir meno la fiducia in essi riposta. Si tratta, cioè, del caso in cui gli altri soci siano venuti meno agli obblighi contrattuali o ai doveri di fedeltà, di lealtà, di diligenza o di correttezza, così da compromettere la natura fiduciaria del rapporto.
Tornando al caso di specie, trattandosi di società a tempo determinato il cui statuto nulla prevede espressamente in punto di recesso, abbiamo informato il nostro cliente che può recedere solo per giusta causa. Acquisiti ulteriori elementi, anche probatori, sulla mala gestio del socio di maggioranza, abbiamo ritenuto che vi fossero le condizioni per esercitare il recesso per giusta causa, e questo per la seguente ragione: il socio di maggioranza aveva effettivamente tenuto condotte di gravità tali, sotto il profilo della correttezza e della buona fede, da:1. giustificare la sfiducia del socio di minoranza;2. determinare un dissidio che aveva comportato, di fatto, la paralisi della società.
Sussiste la giusta causa di revoca dei liquidatori da parte del tribunale, su istanza dei sindaci, ex art. 2487, ult. co., c.c. qualora i liquidatori non adempiano agli obblighi connessi alla carica (nella specie, la giusta causa di revoca viene ritenuta sussistente in ragione della condotta omissiva dei liquidatori: [ LEGGI TUTTO ]
La giusta causa di licenziamento consiste in un'inadempienza o trasgressione da parte del lavoratore di gravità tale da compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro.
Quando ricorre una giusta causa (ad esempio quando il lavoratore viene sorpreso sul luogo di lavoro nell'atto di commettere un reato) il datore di lavoro può licenziarlo in tronco senza dare alcun preavviso. Ciò in quanto il comportamento del alvoratore non consente, per la sua gravità, la prosecuzione anche temporanea del rapporto di lavoro.
Il giustificato motivo soggettivo consiste in un notevole inadempimento del lavoratore ai suoi obblighi, inadempimento che comunque è di minore gravità rispetto a quello che dà luogo alla giusta causa. In questo caso la trasgressione non è tale da rendere necessaria la cessazione immediata del rapporto e dei suoi effetti.
Nell'ipotesi in cui ricorra un giustificato motivo, oggettivo o soggettivo, il datore di lavoro può comminare legittimamente il licenziamento, ma, a differenza della giusta causa, è tenuto a dare un preavviso durante il quale il rapporto di lavoro prosegue secondo le ordinarie regole.
Per giusta causa, si intende una trasgressione o una inadempienza da parte del lavoratore, tale da compromettere il rapporto di fiducia instauratosi con il suo datore. In questa ipotesi si può assistere ad un licenziamento senza preavviso.
Alla giurisprudenza spetta l'arduo compito di stabilire se la fattispecie concreta rientri in una causa di licenziamento per giusta causa o in una per giustificato motivo. In entrambi i casi, secondo un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, deve mancare l'elemento della fiducia costitutiva di quel rapporto di lavoro.
È necessario però ricordare almeno la disciplina posta in essere dallo statuto dei lavoratori che introduceva il concetto di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro nel caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. Questo era valido per aziende con più di 35 dipendenti, limite poi abbassato a 15 grazie alla legge n. 108/1990. Il tema dello statuto dei lavoratori è ricorrente nei tg e nei talk evidenziando la drammatica attualità di questi temi.
Cerchiamo di chiarire ulteriormente le differenze tra giusta e giustificato motivo rimandando alla giurisprudenza per la risoluzione di fattispecie concrete che rientrano nell'una disciplina o nell'altra secondo un criterio quantitativo più che qualitativo.
Giusta causa è la presenza di un fatto talmente grave da rendere impossibile a prosecuzione del rapporto di lavoro, fatto che si identifica, come abbiamo visto, primariamente nel venire meno della fiducia. In tal caso il rapporto deve tempestivamente interrompersi, quindi non occorre il preavviso.
Il licenziamento individuale del lavoratore è la sanzione disciplinare più grave che può essere irrogata dal datore di lavoro, sia pubblico che privato, o per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
In particolare, nella pronuncia succitata la Suprema Corte ha chiarito che nella categoria del licenziamento per colpa (o per inadempienze) rientrano sia il licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c. che quello per giustificato motivo soggettivo. 2ff7e9595c
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